Il mio blog notes

Una sorta di raccoglitore di appunti di vita, di libri, di arte e altro, secondo il personale gusto della curatrice 🤗🤗🤗🤗.

Giulia Colbert marchesa di Barolo

 Juliette Viturnia Francesca Colbert de Maulevrier nacque il 27 giugno 1785 da nobile famiglia della Vandea.
Suo padre, il conte Edouard Colbert de Maulevrier, era pronipote del noto ministro di Luigi XIV, Jean Baptiste Colbert, mentre la madre era la contessa Anna Maria Quengo de Crenolle.
Dopo lo scoppio della Rivoluzione, la famiglia si schierò a favore della Corona e della Chiesa e seguì le sorti dei ribelli della Vandea. Per scampare ai sistematici massacri ordinati nella regione, la famiglia Colbert fu costretta ad allontanarsi dalla Francia, dove tutti i suoi beni erano stati confiscati.
Juliette perse la madre quando aveva solo sette anni e venne educata in Olanda e in Germania, luoghi dell’esilio, dimostrando subito un’intelligenza pronta, accompagnata da un carattere caparbio e da una natura molto sensibile e facile ai cambiamenti d’umore. La sua cultura fu certamente insolita per una donna dei suoi tempi: conosceva inglese, tedesco e italiano, ma anche il latino ed aveva studiato matematica e filosofia. Inoltre manifestò un notevole gusto estetico e una buona abilità nel disegno.
Per tutta la vita si impegnerà a raccogliere libri rari e preziosi. Così ne parla padre Giovanni Lanza, suo primo biografo: “Molti libri lesse e rilesse, traendone tesoro di svariate cognizioni ed acquistando facilità e garbo nello scrivere, massimo in francese, che era la lingua a lei più familiare. Maritata che si fu, pensò a formarsi una scelta biblioteca, ove insieme con i classici francesi, italiani, inglesi e tedeschi, raccoglieva quanto si veniva pubblicando ogni anno di bello e di buono. Laonde senza tema d’esagerare può affermarsi che la marchesa Barolo per ingegno e per coltura non temeva il confronto”.
Spinta e sostenuta dal padre, Giulia completò i suoi studi occupandosi di religione e di morale: lesse testi di teologia, di esegesi biblica e molti saggi di ascetica e di spiritualità. Con l’ascesa di Napoleone, non solo fu permesso alla nobiltà di rientrare in Francia, ma in parte fu anche invitata a Parigi. La famiglia Colbert mentre si occupava del restauro del Castello di Maulevrier che era stato incendiato, iniziò a frequentare la nuova corte imperiale, dove la diciottenne Giulia fu nominata damigella dell’imperatrice Giuseppina. E in una delle numerose feste a corte conobbe il marchese Carlo Tancredi Falletti di Barolo. Originaria di Alba, la famiglia Falletti di Barolo vantava una nobiltà che risaliva al XIV secolo; a Torino si era stabilita nel palazzo dei conti Provana di Druent, all’interno della città romana.
Ottavio Giuseppe Provana Falletti nel 1714 ordinò al celebre architetto Benedetto Alfieri vari lavori nel palazzo di famiglia, che divenne sempre più fastoso e imponente. Il marchese Ottavio Alessandro in gioventù fu amico di Vittorio Alfieri, poi se ne allontanò, essendo profondamente cattolico e fedele alla monarchia sabauda.
Nel 1801 divenne membro dell’Accademia delle Scienze e di altre accademie, tra cui la San Paolina, dedita ad una ferrea protezione delle tradizioni locali.  Scrisse numerosi testi di filosofia e di critica letteraria.
Carlo Tancredi nacque a Torino il 2 ottobre 1782; essendo di una delle più facoltose, e quindi interessanti famiglie della nobiltà subalpina, venne introdotto tramite Camillo Borghese alla corte napoleonica e qui fu favorito il suo incontro con Giulia Colbert; al di là dei maneggi matrimoniali, i due giovani scoprirono presto notevoli affinità: una grande fede religiosa, sensibilità sociale che avrà ben modo di manifestarsi, una vasta e approfondita cultura. Si sposarono a Parigi il 18 agosto 1807 e già l’anno seguente si trasferirono a Torino. Giulia si innamorò subito della città, ne studiò affascinata la storia e ne apprese anche il dialetto, come scrisse Silvio Pellico nelle sue Memorie. Giulia si legò al Piemonte e venne accettata abbastanza facilmente dalla chiusa nobiltà subalpina: “Quantunque affezionata alla sua terra natia, pur mise un geniale affetto alla patria del marito, ed anzi diede al Piemonte la sua predilezione, ognuno qui le perdonò d’essere francese, tanto fu scevra d’orgoglio e di affettazione, e tanta simpatia elle seppe manifestare per questi luoghi da lei adottati”.
Giulia e Tancredi viaggiarono molto, in Italia e all’estero; da questi viaggi trassero un approfondimento della loro vasta cultura, ma anche spunti per quelle attività sociali che realizzarono a Torino.
In quel periodo divenne confessore della marchesa, nella chiesa di san Francesco, il “santo dei carcerati”, don Giuseppe Cafasso, che non poca influenza avrà su di lei e sulle sue opere. La parola d’ordine che ispirò Giulia e Tancredi Falletti di Barolo in ogni loro opera fu sempre la stessa: carità. Essi spesero “energie, tempo, denaro e salute per aiutare i dimenticati, gli ultimi, i giovani sbandati, i carcerati, offrendo a tutti la possibilità di riscattarsi, di uscire dall’emarginazione sociale, fornendo istruzione, formazione professionale e garantendo un lavoro sicuro.”
Così sinteticamente descrive la loro opera Cristina Siccardi, tra le più recenti biografie della marchesa di Barolo. Il sontuoso palazzo barolo viveva in quel tempo due vite distinte ma in qualche modo complementari: di giorno veniva trasformato in foresteria per i poveri, a cui si distribuiva sempre un po’ di cibo, mentre alla sera era uno dei circoli di cultura più prestigiosi e frequentati della città. Vi si trovavano a conversare Cesare Balbo, Federico Sclopis, i conti De Maistre, Solaro della Margarita, Alessandro e Cesare Saluzzo, membri delle più rilevanti famiglie nobili subalpine, nunzi pontifici e ambasciatori. “La marchesa, con quel tratto squisito che proviene dall’educazione e dalla cultura, sapeva rendere gradevole ed animato il conversare. Ella aveva un’entratura obbligante, maniere gentili insinuantisi: le sue osservazioni erano sempre opportune, maturi i giudizi. Fra quella corona di dotti non si perdeva d’animo e con modesta libertà prendeva parte alle questioni più ardue”.
Così ce la presenta G. Lanza nella sua biografia della marchesa, pubblicata nel 1892.
Nello stesso salotto esponeva anche con veemenza le sue idee Camillo Benso di Cavour, poco più che ventenne, definito da Giulia le petit terrible Camille. Carlo Alberto, principe di Carignano, collaborava e sosteneva le opere dei marchesi di barolo e sua moglie, Maria Teresa, ne condivideva lo zelo e le pratiche di devozione. In seguito Giulia si legò anche di sincera amicizia con la regina Maria Adelaide, moglie di Vittorio Emanuele II, i cui figli Umberto e Amedeo andavano a giocare nei giardini di palazzo barolo. Fu importante anche il carteggio con la moglie di Leopoldo II, granduca di Toscana con Luisa di Borbone parma, e con Maria Cristina di Savoia, moglie di Ferdinando II di Napoli.
Inoltre nel tempo frequentò o fu in corrispondenza con i più alti prelati d’Italia e di Francia.
La nipote del grande ministro di luigi XIV ci viene descritta come una donna veramente bella, dal viso fine e regolare illuminato da uno sguardo vivace che sapeva quel che voleva. Sapeva agire e operare fra i personaggi più influenti come tra le persone più misere, superando ostacoli familiari e burocratici. Personalità alquanto versatile, amava dipingere per diletto bozzetti e ritratti che rivelano abilità e gusto. Scriveva non per piacere, ma per una profonda necessità di esprimersi, sperimentando nel tempo tutti i generi letterari. In genere utilizzava il francese, poi faceva riscrivere il tutto in bella copia ai segretari. Quasi tutto ciò che scrisse è stato distrutto alla sua morte per sua precisa volontà. Sappiamo però, che quando erano distanti, i coniugi si scrivevano praticamente ogni giorno e durante il viaggio in Italia, Giulia scrisse continuamente a Silvio Pellico per renderlo partecipe di quanto vedeva; in queste lettere dimostra di assaporare aspetti storici e artistici, ma anche di sapere cogliere le atmosfere. In Santa Croce a Firenze, ad esempio, si distaccò dalla gloria effimera dei grandi che incantò Foscolo con la consapevolezza che alla fine conta solo essere stati virtuosi, resta solo Dio.
Secondo il biografo Giovanni Lanza, una nota caratteristica degli scritti di Giulia è la perfetta corrispondenza della mente col cuore. Giulia e il marito si occuparono di tantissime cose: ad esempio all’inizio dell’ottocento brevettarono nelle loro tenute di Barolo e di Serralunga il celebre e pregiato vino che ne porta il nome. Fu talmente apprezzato da Carlo Alberto che questi volle acquistare un podere per coltivarlo e produrlo per la tavola reale.
Ma in particolare i marchesi di Barolo volsero il loro attento sguardo al sociale. La situazione della Torino di inizio ottocento era alquanto complessa. Esistevano due città: un’aristocratica, colta, militare, attenta ai rapidi cambiamenti politici del tempo, legata alle proprie radicate abitudini, ed una giovane, ma con poche speranze, fatta di emigranti delle zone più povere del regno, senza istruzione, spesso facile preda della malavita. Nello stato sardo, forse più che altrove, erano presenti iniziative educative ed assistenziali, ma risultavano del tutto insufficienti rispetto alla gravità della situazione. In tale contesto si inserirono le opere di Giulia e del marito.
Nel 1814, per decreto di Vittorio Emanuele I, Carlo Tancredi di Barolo venne nominato decurione, cioè membro dell’amministrazione municipale. nel 1825 fu nominato sindaco e a sue spese fondò l’asilo Barolo, una delle prime scuole in Italia dedicate alla prima infanzia. Nel corso del freddo inverno del 1825 ordinò la distribuzione, con il contributo del Comune, di seimila razioni di legna per i poveri. Nel 1827 fondò la prima cassa di risparmio di Torino. Nel 1831 ottenne la nomina a consigliere di stato e l’anno dopo a segretario della deputazione del consiglio generale per l’istruzione pubblica, ma diede le dimissioni per poter operare più liberamente. Tra i suoi primi atti vi fu la fondazione della congregazione delle suore di sant’Anna, che nel volgere di pochi anni iniziarono a occuparsi dell’educazione di ragazze, quelle di famiglie borghesi a pagamento, le altre ospitate gratuitamente. Il marchese si occupò anche direttamente della sua città, facendo costruire giardini e fontane con acqua potabile, ma anche dando inizio, con la cospicua cifra di 300.000 lire dell’epoca, alla costruzione del nuovo Cimitero generale, chiedendo in cambio solo che gli venisse riservato un posto.
Come si è detto Giulia e il marito viaggiarono molto; di quei viaggi abbiamo precisi e interessanti resoconti alcuni scritti da Carlo Tancredi ed altri contenuto nelle lettere inviate da Giulia a Silvio Pellico che dal 1834 divenne segretario di casa Barolo. Si erano conosciuti quando Giulia gli aveva scritto perché commossa dalla lettura delle Mie Prigioni, pubblicate nel 1832. Quando Pellico le scrisse chiedendo un consiglio, se accettare un posto di bibliotecario a Parigi, la marchesa propose al marito di assumerlo per la stessa mansione. Di fatto dal 1837, dopo aver perso padre e ma madre e non avendo più vicino neppure i fratelli (uno era gesuita, la sorella madre superiora delle Rosine a Chieri e l’altro fratello proprietario di un podere, sempre a Chieri) Silvio Pellico si stabilì definitivamente in casa Barolo, dove dava lezioni di francese, ordinava la biblioteca e teneva i conti delle Opere.
Nel 1835 scoppiò a Torino una terribile epidemia di colera, in quest’occasione Giulia si prodigò in modo particolare seguendo i malati di ogni condizione con uno zelo incosciente che preoccupava non poco il marito. In realtà fu proprio quest’ultimo d ammalarsi ed i medici consigliarono un viaggio. Prima di partire, il marchese si era fatto promotore di un voto alla patrona di Torino, la Consolata, organizzando una pratica di adorazione che prosegue fino ai giorni nostri e facendo erigere sul piazzale del santuario una colonna sormontata dalla statua della Madonna.
I coniugi Barolo non riuscirono a raggiungere il Tirolo, la loro meta; Tancredi si aggravò e sulla via del ritorno morì in provincia di Brescia il 4 settembre 1838. Sulla sua epigrafe, dettata dalla moglie, leggiamo: “Ha fatto del bene a molti, molto avrebbe voluto farne a tutti, anime, cristiane fategli il bene delle vostre orazioni”. Giulia si ritrovò erede del grande Patrimonio di casa Barolo; secondo le intenzioni del marito, “era in grado di proseguire l’esercizio a maggior gloria della nostra santa religione, a beneficio dei miei concittadini e a suffragio dell’anima mia”, utilizzando il patrimonio per un uso “che è da lungo tempo scopo dei nostri comuni e incessanti desideri”. La morte del marito colpì profondamente Giulia che si definiva “una naufraga della vita, sperduta, che sa di dover pareggiare una partita coi derelitti e i paria. La mia ricchezza è considerevole, ma la miseria che io vedo è tale che non so misurare gli estremi, il mio cuore è saldo, ma il dolore umano è così profondo, che io mi domando se avrò sempre il coraggio di contemplare il suo tragico volto”.
Dedicò il resto della vita a rafforzare le opere e le congregazioni che aveva istituito col marito e a proseguire una disperata guerra contro la miseria umana in tutte le sue forme. Da quel momento fu duplice il percorso della sua vita: crescevano insieme le sue opere per aiutare i miseri e il suo cammino interiore di preghiera. In particolare Giulia fu sempre molto colpita dalle situazioni createsi nelle carceri. Dopo molte insistenze, riuscì a visitarle, aderendo alla confraternita della Misericordia. Le sue Memoires sur les prisons descrivono la sua opera e le sue idee per migliorare le condizioni delle detenute delle carceri di Torino, che a quei tempi era le Senatorie, le Forzate, e le Correzionali. “Non basta castigare chi ha fatto del male, levandogli la possibilità di poter nuocere altrui. Bisogna apprendergli di fare il bene. E quando la giustizia ha riposto nel fodero la sua spada, devesi lasciare campo alla carità di spiegare il suo mistero emendativo”. Questo il pensiero di Giulia che non agiva per superficiale filantropia di moda, ma cercava di risolvere le questioni alla radice. Studiò a fondo anche le carceri in Francia e in Inghilterra, comprendendo che come erano non servivano  a punire giustamente né tantomeno a redimere.
All’inizio Giulia si offrì di distribuire minestra, poi ottenne di restare da sola con le detenute. Imponeva momenti di preghiera, non sempre facilmente; insegnava catechismo, ma attraverso questo creò delle classi per insegnare a quelle donne a leggere e a scrivere. Portò lino e canapa da filare, convinta che quando il lavoro impegnava la mente, fosse più facile ottenere calma e ordine. Dopo una serie di lettere, ottenne che tutte le detenute fossero riunite nel carcere delle Forzate, tra via San Domenico e via Santa Chiara. Nel 1823 aveva fondato il Rifugio per colpevoli in Borgo Dora, nel 1833 un’istituzione per ragazze che si erano allontanate dalla prostituzione, seguite dalle Sorelle Penitenti di Santa Maria Maddalena, oggi diventate le Figlie di Gesù Buon Pastore. Nel 1841 nacquero le Maddalenine, per ragazze dai 7 ai 14 anni. Nelle 350 lettere che abbiamo alle Sorelle Penitenti, Giulia si dimostra partecipe delle loro vicende come una madre affettuosa. Come annota Silvio Pellico “la sua carità non era rivolta solamente ad asciugare lacrime, ma a guadagnare anime a Dio”. Mentre la marchesa si recava a Roma per far approvare in Vaticano le sue congregazioni, accompagnata da una lettera di Carlo Alberto i tempi stavano cambiando e il diffuso anticlericalismo trovò in lei facile bersaglio. Questi stessi poveri di cui lei si occupava, mandati da altri urlavano e lanciavano sassi contro palazzo Barolo.
La marchesa di Barolo visse fino a 79 anni, tormentata da lutti e malattie, ma sempre instancabile nel perseguire i suoi scopi. Morì il 19 gennaio 1864 e lasciò scritto precise disposizioni volte a constatare con sicurezza la sua morte, forse influenzata da un oscuro terrore di “sepolta viva”, alimentato dalla letteratura del tempo. Il suo funerale, nella chiesa di San Dalmazzo non lontana da Palazzo Barolo, accanto alle autorità vide presente un’enorme folla di quei poveri che lei aveva aiutato nel corso della sua vita. Fu sepolta in un primo tempo nel Cimitero generale accanto al marito, poi fu traslata nella chiesa di Santa Giulia, che lei stessa aveva fatto costruire in Borgo Vanchiglia. La sua opera, sia pur parzialmente proseguì con i suoi lasciti all’Opera Pia Barolo.
Da I personaggi che hanno fatto grande Torino di Claudia Bocca

Categorie:Donne protagoniste

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4 risposte

  1. Molto interessante e grande donna. Scelse un luogo meraviglioso dalla prelibata cucina e dalle verdi valli.
    Grazie mia dolce Farfallina di erudirci un po’ di più. Bacioni

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  2. Ciao Anna
    grazie per questa splendida lettura, la famiglia Barolo che conoscevo solo per il vino. Molto interessante.
    Come come stai?
    Un abbraccio ❤️
    Chiara

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  3. una vita certamente ricca e interessante.
    grazie e ciao

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  4. Buongiorno, per la prima volta in tanti anni mi è arrivata una richiesta per poter leggere un mio blog “privato”: il fatto mi ha sorpreso moltissimo, ti ho dato l’accesso.

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Grazie di cuore per il commento e per la visita ◕‿◕

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