Il mio blog notes

Una sorta di raccoglitore di appunti di vita, di libri, di arte e altro, secondo il personale gusto della curatrice 🤗🤗🤗🤗.

Jean Francois Champollion

L’enfant prodige che decifrò i geroglifici.

Figlio di un modesto editore-librario, Jean Francois Champollion apparve sulla scena della vita, nel 1790 a Figeac, nel dipartimento di Lot. Sin da piccolo, il futuro archeologo, manifestò una particolare inclinazione per le lingue antiche, una precoce attitudine, che però il padre, tipografo senza portafoglio, non era in grado di coltivare. A mantenerlo negli studi, ad accompagnarlo sui sentieri della scrittura ideografica, ci pensò il fratello Jacques Joseph, che lo iscrisse al liceo di Grenoble, poi al college de France, e poi alla scuola di lingue orientali a Parigi, dove si distinse nelle traduzioni dal cinese e dal sumero
Non aveva neppure sedici anni, il giovane Champollion, quando, sebbene già impegnato come geologo a selezionare i sassi, e più spesso a lanciarli ai coetanei,  sul greto del fiume Cele, si trovò casualmente tra le mani la stele di Rosetta. Non si trattava, è logico, di un sasso qualsiasi, ma di una roccia di basalto nero, con sopra impressa una triplice iscrizione, in caratteri geroglifici, demotici greci. Questa lapide, che, per l’esattezza, recava inciso un decreto di Tolomeo V (196 a. C) era stata rinvenuta sul delta del Nilo, a Fort Jullien, presso la città di Rosetta (Rashid), nel 1799, da parte di un ufficiale dell’esercito napoleonico, durante la campagna d’Egitto. La novità di un simile ritrovamento sta nel fatto che fino ad allora i geroglifici non erano stati tradotti e la stele di Rosetta fu appunto il primo prezioso documento, pervenutoci dagli egizi, ad essere codificato, per merito soprattutto delle accurate perizie calligrafiche eseguite dallo stesso Champollion.
Intuendo che i geroglifici, racchiusi in due cartigli ellittici (di forma ovale), riportavano il nome dei faraoni, Tolomeo e Ramesse II, egli trovò le corrispondenti lettere greche. Cioè, attraverso i nomi dei sovrani tolemaici, citati nel testo greco e ripetuto localmente in quello egizio lo Champollion comprese finalmente e riuscì a dimostrare, dopo anni di studi accaniti che la scrittura geroglifica era dotata, non solo di grafemi fonetici, ma anche di segni omofoni, determinativi e ideogrammatici, la straordinaria scoperta venne diffusa nell’ambiente scientifico tramite una lettera indirizzata a M. Dacier (il segretario dell’Academie des  Inscriptions), nella quale lo Champollion rivelava il suo geniale metodo di lettura e di traduzione, che gli aveva permesso di identificare il valore alfabetico dei caratteri della scrittura egizia.
Un sistema che, nel 1824, espose in modo più dettagliato in quella che è ormai considerata la prima “Grammaire Egyptienne”

L’invidia dei paleografi
Caso strano, per non dire unico, è che la decifrazione del testo bilingue e trigrafico della stele di Rosetta, anziché portare gloria e prebende nelle tasche del Champollion, gli attirò sulla pelle una pioggia di minacce, di vendette e di invidie non tanto velate ad opera di Akerblad, De Sacy, Seyffarth, e Thomas Young.

Questi illustri paleografi avevano consumato le loro notti e la propria reputazione a decifrare un sogno che poi era stato svelato dal figlio del tipografo di Figeac: un giovanotto plebeo, poco più che trentenne, arrogante e sconosciuto che, fra l’altro, peccato imperdonabile al tempo della restaurazione, non aveva mai nascosto la sua fede bonapartista e giacobina. A causa appunto dei troppi nodi politici e anche di natura accademica, l’egittologo francese venne cacciato dall’università di Grenoble, dove insegnava sin dal 1808; per cui, da quel momento, fu costretto a guadagnarsi da vivere, svolgendo incarichi mal retribuiti. Il vento comunque, che all’epoca aveva ricominciato a soffiare, seppure con scarso vigore, in direzione di Luigi Filippo (il quale poi salirà al potere con la rivoluzione del 27 luglio 1830), spinse lo Champollion, imbarcato sulla nave Eglè, in un lungo e avventuroso viaggio verso l’Egitto e la Nubia, nella patria dei faraoni, alla ricerca di altri reperti archeologici, da mettere in mostra nelle sale del Louvre. Anche in quella circostanza però, i segreti “rubati” sul Nilo, nella missione esplorativa portata a termine con Ippolito Rosellini, gli versarono addosso nuovi veleni, confezionati stavolta in terra d’africa e non dai soliti cortigiani di Carlo X.
Questo spiega, e il discorso vale ovviamente per coloro che credono ai malefici degli Egizi, la prematura e improvvisa scomparsa di Francois Champollion avvenuta il 4 marzo del 1832, all’età di quarantadue anni.

di Umberto Pellicci
Rivista Ottocento N. 3 febbraio-marzo 2002

 

Categorie:Riviste

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