Il mio blog notes

Una sorta di raccoglitore di appunti di vita, di libri, di arte e altro, secondo il personale gusto della curatrice 🤗🤗🤗🤗.

L’italia inventa il neorealismo.

Nel settembre del 1945, poco più di un mese dopo le due esplosioni nucleari di Hiroshima e Nagasaki, in un mondo che si volge intorno smarrito a contare i morti del più tremendo conflitto nella storia dell’umanità, al teatro Quirino di Roma si tiene un festival del cinema: il primo del dopoguerra; non solo in Italia, ma nell’intero pianeta.
Nell’ambito del festival il cinema italiano presenta in prima mondiale “Roma città aperta” di Roberto Rossellini. L’evento lì per lì non suscita particolare scalpore. Le sale sono piene di film che rievocano le sofferenze appena trascorse; la novità di “Roma città aperta” non viene immediatamente avvertita.
Se il film, nella uscita successiva, otterrà un insperato successo di pubblico lo dovrà in gran parte alla presenza nel cast di due attori molto popolari e amati: Aldo Fabrizio e Anna Magnani. Ma, appena la pellicola varca la frontiera e raggiunge i cinematografi francesi e statunitensi, la buona accoglienza si traduce in entusiasmo e stupore: si colgono le novità e ci si stupisce che queste novità provengano da una cinematografia che dal 1914, cioè dal tempo di “Cabiria”, ha smesso di interessare il mondo, una cinematografia per di più uscita da un ventennio di condizionamento fascista e da una guerra che ha fatto tabula rasa delle sue strutture.
Fenomeno irreperibile? No: a “Roma città aperta” fanno seguito “Paisà” un altro film di Rossellini, ” Sciuscià” di Vittorio De Sica, “Il sole sorge ancora” di Aldo Vergano, “Il bandito” di Alberto Lattuada, “Vivere in pace” di Luigi Zampa.
Fa seguito, per errore anche “Quattro passi fra le nuvole” di Alessandro Blasetti mentre si tratta di un film datato 1943. Ma all’estero lo prendono per un film del dopoguerra, segno che qualcosa era maturato anche sotto il fascismo. Infatti il fascismo, se da un lato aveva impedito la libertà d’espressione, dall’altro aveva creato delle strutture in grado di attivare una produzione tecnicamente avanzata e di favorire la nascita di buoni talenti, i quali non attendevano che la libertà per affermarsi secondo il proprio genio. E poco importava se le strutture per via della guerra disastrosa erano venute temporaneamente a mancare. La scarsità di mezzi, anziché impedirlo, aveva contribuito al rinnovamento del linguaggio, per cui il cinema italiano appariva al mondo intero con caratteri di novità assoluta.
Si riscovò un termine già usato in occasione dell’uscita di “Ossessione”, nel 1943, l’opera prima di Luchino Visconti: il “neorealismo”. Il cinema italiano fu chiamato “cinema neorealista”, anche se, a ben guardare, il termine si addiceva a una porzione molto ristretta di film, mentre gli altri continuavano a seguire i canoni della normale produzione di intrattenimento: un cinema che non svolge il compito di aprire una finestra sulla realtà, di denunciare senza retorica i mali che affliggevano il proprio Paese, di raccontare con l’occhio del grande cronista la guerra, l’occupazione, la lotta partigiana la liberazione; forse la funzione sua più importante fu di scompaginare i parametri narrativi sino allora seguiti, cioè i parametri fondati sull’assoluta interdipendenza tra i fatti narrati e l’azione; fu di accogliere l’imprevisto, il minimo dettaglio; fu di coniugare alle volte il tempo filmico col tempo reale dando la dovuta importanza a tutti gli atti dell’uomo; fu d’indebolire i rapporti di causa e d’effetto che avevano sino allora sostenuto la drammaturgo cinematografica.
Callisto Cosulich (da un inserto dell’Unità di anni fa, da me riscoperto nella mia libreria)

Categorie:Cinema

Tag:, ,

4 risposte

  1. grazie mia cara Farfallina per averci ricordato una carrellata di meravigliose pellicole.

    Piace a 1 persona

Scrivi una risposta a Nella Cancella risposta