Dopo le prime difficoltà di attuazione, il processo risorgimentale fu rilanciato in modo entusiastico soprattutto da artisti e intellettuali. Essi diedero vita a poesie, romanzi, tragedie, melodrammi, dipinti capaci di imprimere nell’animo dei patrioti il mito della nazione italiana e della storia comune del suo popolo.
Bastano i nomi di Leopardi, Pellico, Manzoni, Verdi a dare l’idea dello spessore morale ed intellettuale di queste illustri personalità. L’idea di una nazione italiana coerente e lineare venne dunque creata, come spesso capita nella storia, da un gruppo di avanguardisti. Filosofi e letterati riorganizzarono il vocabolario politico del Risorgimento, a partire dalla definizione del termine “nazione” e di “patria”, fino alla ricerca insistente di una lingua nazionale unitaria capace di dar vita a una letteratura, una poesia, una drammaturgia di alto livello per tutti gli italiani.
Le parole d’ordine del Risorgimento risultarono semplici ed efficaci: la patria era intesa come madre di tutti, i figli della patria erano tutti fratelli e sorelle tra di loro, gli eroi che guidavano le sorti delle guerre di indipendenza diventavano nell’immaginario collettivo i padri stessi della patria, il sangue era l’elemento che teneva insieme la comunità, la patria era unita da una unica religione, da una lingua comune, da un passato collettivo, fatto di sacrifici e oppressori. L’eroe era un combattente coraggioso, leale, pronto al sacrificio, spesso simile alla figura di cristo. Se la morte ricevuta sul campo di battaglia rappresentava il momento sacrificale per eccellenza, anche quella sopraggiunta in altre circostanze meno simboliche, per esempio a seguito di una lunga malattia o di un improvviso malore, finiva per assumere un’aurea altamente suggestiva. Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele II e Garibaldi morivano non sul campo di battaglia ma in circostanze simili, eppure rimanevano agli occhi degli italiani, i grandi eroi fondatori e padri della patria.
La memoria degli eroi diventa nel Risorgimento la celebrazione del sangue versato per l’affermazione dell’ideale dell’indipendenza e della patria. Morire per la patria fu un’espressione usata spesso da intellettuali e pensatori repubblicani. Si è parlato, a questo proposito, di nazional-patriottismo risorgimentale.
Il termine patria, che sottintendeva inizialmente soprattutto il luogo di nascita, in un’accezione più politica significava anche la relazione di un soggetto con le istituzioni.
Nazione è invece un termine che è entrato di recente nel lessico politico. In passato identificava gruppi culturali e linguistici dalle caratteristiche comuni, ma non in senso politico come Stato. Nel corso del XVIII secolo iniziò a essere usato da filosofi, giornalisti, intellettuali, che cominciarono, soprattutto in Francia, a criticare le istituzioni degli Stati monarchici e che capovolsero il processo di legittimazione dello Stato: il potere non era più calato dall’alto dal sovrano ma veniva dal basso, da coloro che vivevano in un contesto territoriale e che conferivano legittimazione con il loro consenso.
Gianluca Formichi-L’Italia unita-Giunti
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