“Guardo le mie povere cose/una foto di Angela Davis/ muore lentamente sul muro/ e a me di lei/ non me n’è fregato niente mai”. Così cantava Francesco De Gregori nel 1974, (2) una voce fuori dal coro generale che invece era osannante più che mai: dai Rolling Stones (Sweet Black Angel), a John Lennon (Angela) fino al poeta francese Jacques Prevert, tutti avevano dedicato un verso di rispetto e solidarietà alla rivoluzionaria nera che l’America aveva ingiustamente incarcerato nel 1970, accusandola di aver procurato le armi al gruppo che fece irruzione al processo dei Soledad Brothers.
Il mondo intero prese le difese di Angela Davis, ma l’omaggio più incredibile rimane sempre quello del Quartetto Cetra, una formazione canterina specializzata in motivi leggeri e consolatori che nel 1971 in una serata di varietà in TV sbalordì tutti eseguendo il brano Angela: “Angela – non disperare […]Non si può per un’idea/un’idea soltanto/ recidere un fiore”.
Inutile raccontarvi reazioni del pubblico conservatore, che inviò addirittura lettere con pesanti minacce all’audace quartetto (1); per non parlare della Rai, l’azienda tv che li ospitava, che fece di tutto per boicottarli. Angela Davis era un argomento scottante: una donna nera femminista, che si definiva comunista militante ed era affiliata al partito delle Pantere Nere, era considerata senza mezzi termini il diavolo in persona. Ma a parte Francesco de Gregori, all’epoca tutti i giovani del pianeta erano orgogliosi di avere appeso nella loro cameretta il poster di questa ragazza con il viso incorniciato dalla famosa capigliatura afro: una fotografia che si trasformò in un’icona internazionale, seconda solo a quella onnipresente di Che Guevara. Ma Davis, come scriverà in seguito nella sua autobiografia, farà di tutto per allontanarsi dalla mitologia che l’aveva consacrata come la santa dei rivoluzionari, spiegando che quello che le era successo poteva avvenire a qualunque altro esponente della sua razza perché “le forze che hanno fatto della mia vita ciò che è, sono le stesse forze che hanno formato e deformato la vita di milioni di uomini e donne del mio popolo […] un minimo scarto della storia, e un’altra sorella o fratello poteva diventare il prigioniero politico che milioni di persone di tutto il mondo hanno salvato dalla persecuzione e dalla morte”.
Ciò che le interessa è combattere il sistema razzista del suo paese che ha vissuto sulla pelle sin da quando è nata nel 1944 in Alabama, nel quartiere di Birmingham, soprannominato Dynamite Hill a causa dei continui attentati del ku Klux Klan. E’ proprio nella chiesa principale della sua città, frequentata specialmente dalla comunità nera, che avverrà un terribile fatto di sangue: una bomba viene fatta esplodere prima della funzione, provocando la morte di quattro giovani ragazze e molti feriti. Angela è così colpita dalla tragedia che si unisce al movimento dei diritti civili in cui inizia le sue battaglie che la porteranno pochi anni dopo a iscriversi al Partito comunista e ad avvicinarsi alla Black Panthers.
Insieme alla militanza, Davis porta avanti i suoi studi, è allieva in Europa di Adorno e in America di Herbert Marcuse e, dopo essersi laureata con il massimo dei voti, inizia a insegnare Filosofia come assistente all’università di Los Angeles. A causa del suo coinvolgimento nel partito comunista le viene revocato l’incarico, ma Angela riesce a dimostrare in tribunale che il licenziamento per opinioni politiche è anticostituzionale: vince la causa e sono costretti a riammetterla. Tuttavia solo pochi anni dopo sarà costretta a difendersi di nuovo davanti ad una corte: e questa volta il pubblico ministero ha chiesto non una bensì tre condanne a morte per la giovane ventiseienne, con l’accusa di cospirazione, rapimento e omicidio, perché una delle armi usate nell’assalto all’aula giudiziaria per liberare il detenuto nero George Jackson era intestata ad Angela.
Lei pretende di difendersi da sola: “Nessuno può parlare meglio di me delle mie convinzioni e delle mie attività politiche. Una giustizia che condanna virtualmente al silenzio la persona che ha più da perdere, sembra già contenere in sé i germi della propria distruzione”.
Alla fine di questa unga vicenda legale che ebbe una profonda eco in tutto il mondo, Davis risulterà innocente e verrà assolta con formula piena.
Le sue arringhe in tribunale e gli scritti dal carcere dove è stata rinchiusa per sedici mesi sono passati alla storia perché non parlano solo del suo caso personale, ma di come la giustizia americana discriminasse i neri in un paese dove erano soggetti a continue umiliazioni e a una sistematica violazione dei diritti.
“Ciò che si mette sotto accusa sono le mie convinzioni e i miei interventi politici, la mia lotta quotidiana per combattere tutto ciò che concorre a paralizzare economicamente e politicamente l’America nera”.
Angela ha colpito l’immaginario di tante persone nel mondo grazie alla fierezza e all’orgoglio con cui ha sempre combattuto a viso aperto per le sue idee: è la prima volta nella storia americana che una donna nera alza la voce ed affronta le istituzioni con tale veemenza e autorevolezza.
Naturalmente non può che attirare le critiche dei suoi nemici ma, come spesso accade, anche di quelli che dovrebbero essere i suoi compagni di lotta. Non a caso i primi a contestarla furono proprio i maschi del movimento: gli attivisti neri la accusarono di volersi impadronire dell’organizzazione svolgendo “un lavoro da uomo”.si tratta dell’antica mentalità machista che da sempre ha giudicato l’affermazione sociale delle donne come una minaccia alla virilità degli uomini, e anche nel movimento delle Black Panthers i più ferventi rivoluzionari non hanno permesso alle loro compagne di trasgredire le vetuste regole di un patriarcato che ancora ai giorni nostri attraversa ogni cultura e religione. E Davis, infatti, con il senso critico che l’ha sempre contraddistinta si allontana presto dal movimento, combattendo la deriva maschilista e islamica impressa da Louis Farrakhan, nuovo leader della antion of islam.
Oggi Angela è una splendida settantenne che continua a difendere gli ideali per cui si è sempre battuta, in particolare la questione femminile, al centro di molti suoi studi e di un ultimo originale saggio, Blues Legacies and Black Feminism: un viaggio musicale intellettuale attraverso le vite di Bessie Smith, Billie Holiday e Geltrude Rainey, prime blues women a registrare le proprie canzoni, protagoniste di vite fuori dagli schemi e per Davis vere pioniere dell’emancipazione – due volte valorose, perché hanno combattuto contro i pregiudizi dei bianchi ma anche contro quelli dei loro compagni neri. A chi le chiede oggi se si ritenga più una femminista o un’attivista, lei risponde serenamente rifiutando ogni volta le etichette che per tutta la vita hanno cercato di ingabbiarla in vari stereotipi. Nel 1981 mi hanno detto che ero una femminista, io ho risposto: “Sono una rivoluzionaria nera”, ma questo è un periodo in cui le donne si stanno rivoltando e donna non significa più quello che significava una volta. C’è un femminismo di base antirazzista che include donne trans gender, per esempio, e questo è il bello dei movimenti giovanili che mi fanno sperare nel futuro, nonostante tutto”.
E noi, nonostante tutto, speriamo insieme a lei che non ha mai perso la grinta della combattente, anche se gli avvenimenti storici del suo Paese non sempre fanno sperare in un futuro migliore. Ma Angela, con il suo sorriso disarmante, non smette di essere una grande fonte di ispirazione per le nuove generazioni di donne.
In tante vanno ad ascoltare le conferenze che tiene in tutto il mondo: l’hanno applaudita a Washington nel gennaio del 2017 alla Women’s March contro Donald Trump, e ultimamente anche in Italia al festival di Internazionale, dove come sempre Davis ha caricato di entusiasmo anche i più scettici con la sua instancabile energia positiva. “Non sappiamo mai davvero quale potrebbe essere il risultato delle nostre battaglie. Non abbiamo una sfera di cristallo che ci consenta di vedere il futuro, non abbiamo garanzie, ma questo non significa che non si debba lottare”.
Serena Dandini – Il Catalogo delle donne valorose.
(1)La prima canzone scritta in omaggio a Davis fu, nel 1971, Angela, scritta da Tata Giacobetti ed Antonio Virgilio Savona ed incisa dal Quartetto Cetra. Nel 1971 il Quartetto conduce il programma Stasera sì, con la direzione musicale di Mario Bertolazzi: nel corso della puntata del 7 novembre il Quartetto presenta Angela, canzone dedicata ad Angela Davis, ed il giorno dopo Felice Chiusano riceve da uno sconosciuto un messaggio: «Dica al suo collega Savona di non fare il gradasso sul palcoscenico e di lasciar perdere la politica, di cantare Nella vecchia fattoria e di smetterla di sfruculiare con Angela Davis e tutto il resto… queste sono cose delicate, mi sono spiegato?». Chiusano racconta l’episodio a Savona, che ne trarrà ispirazione per comporre la canzone Cose delicate.
(2)Nel 1974 Francesco De Gregori cita Angela Davis nella sua canzone Informazioni di Vincent, contenuta nel cosiddetto album della pecora: «Guardo le mie povere cose, una vecchia foto di Angela Davis, muore lentamente sul muro, e a me di lei, non me n’è fregato niente, mai».
Categorie:Donne protagoniste
Tag:Angela Davis, Il catalogo delle donne valorose, Libro, Serena Dandini
che anni quegli anni, non era tanto l’obbiettivo, ma la speranza di poterlo raggiungere che ci teneva vivi, allegri, determinati e curiosi…. poi tutto si è perso.
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Purtroppo amico mio 😦
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ricordo quella chioma impressionante. potrei ripetere le parole di de gregori. tuttavia quegli anni furono significativi. ciao e grazie: interessante
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Grande donne, sempre viva e pimpante. So che fa ancora conferenze ai giovani, nonostante l’età.
Abbraccio siempre
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142/5000
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