[…] Comincio dalla natura, da ciò che essa ha di più esigente: la questione alimentare. Osserverete che non cerco affatto di passare sotto silenzio il particolare più increscioso: i pitoni non si nutrono solamente di carne fresca, si nutrono di carne viva. È così.
Quando, a conclusione di un viaggio organizzato, di cui avrei qualcosa da dire, ritornai dall’Africa portandomi dietro Coccolone, mi recai al Museo di storia naturale. Per questo pitone avevo provato, fin dal momento in cui l’avevo visto esibito da un negro davanti all’albergo tuttocompreso, un’amicizia immediata, uno slancio caldo e spontaneo, una specie di reciprocità, ma delle condizioni di vita da lui pretese non sapevo nulla, all, i fuori di me stesso. Desideravo pertanto assumerle. Con un’accento meridionale il veterinario mi disse:
“i pitoni in cattività si nutrono unicamente di prede vive. Topi, porcellino d’india e anche, di tanto in tanto, un coniglietto , fa bene…”
Sorrideva con simpatia.
“Inghiottono, Inghiottono. È interessante osservare, il topo davanti e il pitone che spalanca le fauci. Vedrà.”
Ero livido d’orrore. A questo modo, non appena nell’agglomerato parigino, andai a cozzare contro il problema della natura, contro il quale ero già andato a cozzare in precedenza, a capofitto, s’intende, ma senza contribuirvi deliberatamente. Sormontai il primo passo è comprai una topina bianca, la quale però, appena l’ebbi tirata fuori dalla scatola, cambiò natura : assunse tutt’a un tratto, quando ne sentii i baffi nel cavo della mano, un aspetto personale importante.
Vivo solo e la chiamai Biondina, in ragione di nessuno. Vado sempre al sodo. Più la sentivo piccola nel cavo della mano e più lei cresceva e il mio habitat divenne improvvisamente tutto occupato. Aveva orecchie trasparenti rosa e un minuscolo musino fresco fresco e queste, in un uomo solo, sono cose che non ingannano e che assumono certe proporzioni, per via della tenerezza e della femminilità. Una roba che quando non è presente non fa che crescere, occupa tutto lo spazio. L’avevo comprata, scegliendola bianca e di lusso, per darla da mangiarla a Coccolone, ma non avevo la forza maschile necessaria. Sono un debole, lo dico senza vantarmene. Non ne ho alcun merito, lo constato, tutto qui. Vi sono perfino dei momenti in cui mi sento così debole che dev’esserci un errore, e siccome non so che cosa intendo dire con questo è come esprimere e tutta la portata.
Biondina cominciò subito ad occuparsi di me, arrampicandosi sulla mia spalla, rovistando i nel collo, solletica domi con i baffi l’interno dell’orecchio, tutte jquelle mille cosucce che fanno piacere e creano l’intimità.
Intanto il mio pitone rischiava do morire di fame. […]
Non sapevo che fare. Bisognava cibare Coccolone almeno una volta alla settimana e lui contava su di me in questo senso. Erano già trascorsi venti giorni da quando lo avevo assunto e mi manifestava il suo attaccamento arrotolandosi intorno alla mia vita e alle mie spalle. Dondolava davanti a me la sua bella testa verde e mi guardava fisso negli occhi, come se non avesse mai visto niente di simile. […]
Un libro che affronta il problema della solitudine metropolitana con ironia malinconica ma con una sorta di divertimento.
Un libro da non perderne la lettura.
Categorie:Libri
Tag:Cocco mio, Emile Ajar, Libro, Pitone
La solitudine può essere brutta ma con un serpente in casa credo peggiori.
Forse sono banale ma se proprio devo o voglio accompagnarmi, credo che un cane o un gatto siano i piu indicati.
Un umano/a, troppo impegnativo?
Ciao fulvio
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Il bello del libro, direi l’originalità, sta proprio nel fatto di avere scelto la compagnia di un pitone. Riguardo all’umano avrà un incontro ma non vado oltre nel raccontare, altrimenti si perde il gusto della lettura
Abbraccio virtuale 😀
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