Il mio blog notes

Una sorta di raccoglitore di appunti di vita, di libri, di arte e altro, secondo il personale gusto della curatrice 🤗🤗🤗🤗.

George Byron

George Byron di Umberto Pellicci
Motivo dominante dei poeti romantici inglesi del XIX secolo era la coscienza della propria infelicità.
Il dolore dichiarava George Byron, uno dei capiscuola di questa corrente letteraria, nasce dal mistero che ci circonda, e di fronte ad esso, l’uomo si presenta martire o ribelle, diventa nano o gigante.
Vittimismo e titanismo erano dunque i due poli di una tensione esistenziale, e, non di rado, le opposte tendenze si manifestavano, con aspri conflitti interiori, nello stesso individuo.
Byron, ad esempio, era lacerato da contraddizioni drammatiche e la complessa ambiguità del suo temperamento la travasava in un lirismo, di volta in volta, amaro e melanconico, o pieno di impeto e di irrequieta esuberanza.
Riguardo comunque al carattere introverso, e diciamo pure contorto, di Byron, altri fattori vanno esaminati. Vale la pena ricordare che George era salito sulla ribalta della vita con le luci della disgrazia, a causa di una deformazione congenita al piede. Bisogna inoltre aggiungere che la sua famiglia, di antiche origini normanne, stabilitasi a Newstead nella contea di Nottingham, annoverava tra gli antenati psicopatici e assassini, per cui viene il sospetto che Byron obbedisse, più che al verbo romantico, ai vincoli di sangue e ai segni scorretti della natura, e questo spiega perché la sua immagine sia entrata nella leggenda, e, a distanza di tempo, si sia conservata meglio delle parole.
Diventa pari d’Inghilterra.
George Gordon Byron era nato a Londra il 22 gennaio 1788. Il padre, John, soprannominato il “pazzo Jack”, per la sua vita balorda e dissoluta, era morto quando aveva tre anni. La madre, forse per nascondere gli scheletri nell’armadio lo aveva educato alla rigida dottrina calvinista, gli aveva inculcato sin da piccolo il senso della colpa e del peccato. Nel 1794, George venne iscritto alla scuola di Aberdeen, in Scozia; proseguì gli studi a Delwich (dal dottor Glennie) e all’istituto di Harrow; quindi, nel 1805 entrò al Trinity College di Cambridge, dove si distinse per l’abilità nel nuoto e per la condotta scapestrata. Ottenuta la laurea in lettere e il titolo di Lord (ereditato alla morte di un prozio), Byron iniziò l’attività poetica con Brani fugaci e Ore d’ozio, componimenti di genere erotico, schegge impure, che avvelenarono l’ambiente aristocratico inglese e che sganciarono i bottoni di parecchie sottane. Nei suoi tramagli amorosi rimasero impigliate: la cugina Margaret Parcher, Henrietta d’Ussieres, lady Oxford, Mary Ann Chaworth, e Caroline Lamb, sposata con prole al visconte di Melbourne.
Sembrerà strano, ma per irretire le donne, a Byron bastava lo sguardo, la parola. Il suo fascino scaturiva dalla timidezza, dalla diffidenza dello spirito ferito del pagliaccio zoppo che, nel timore di esporsi al ridicolo della gente, preferiva chiudersi in una sorta di sdegnoso e glaciale riserbo. Quella maschera, o travestimento, serviva a Byron per nascondere la bestia invisibile, lasciva e blasfema, nutrita di rancori, sempre armata, pronta a difendersi, a mordere, a sedurre, a schizzare inchiostro e a seminare ovunque rovine e sfaceli.
Si innamora della sorellastra.
Nel 1809, dopo un violento discorso pronunciato alla Camera dei Pari, a sostegno dei cattolici e dei lavoratori tessili, e in seguito alle clamorose suscitate da un suo scritto satirico sui Bardi inglesi e critici scozzesi, Byron ritenne opportuno lasciare placare le polemiche, e partì per una lunga vacanza in Spagna e in Medio Oriente. Visitò Lisbona, Siviglia, Cadice, Gibilterra, Malta, Smirne e Costantinopoli. In Grecia, ad Atene, visse alcune settimane in un convento francescano; giunto nel Bosforo, lo attraversò a nuoto tra Sesto e Abido; poi, passando di nuovo per Malta, fece ritorno in Inghilterra. Le impressioni riportate durante il viaggio, furono raccontate da Byron nel poema Il pellegrinaggio del giovane Aroldo. Successivamente pubblicò Il giaurro, Il corsaro, L’assedio di Corinto, Parisina(*), L’addio a napoleone.
I critici, al solito, storcevano il naso; le donne invece lo acclamavano per motivi diversi, ed erano disposte, per lui, a dannarsi l’anima. Il 2 gennaio 1815, Byron sposava la nobile Anne Isabelle Milbanke. Il matrimonio però entrò subito in crisi e neppure la nascita di Augusta Ada riuscì a salvarlo. Si separarono due anni più tardi, a causa, pare, dell’amore incestuoso di George per la sorellastra Augusta Leigh. Lo scandalo che ne seguì obbligò Byron ad abbandonare l’Inghilterra, e a trovare rifugio in Svizzera, a villa Diodati sul lago di Lemano, dove abitavano gli Shelley. A Ginevra nacque Allegra, la “bastard”, frutto della sua relazione con Claire Clairmont, la cognata di Shelley.
Non soddisfatto, sempre inquieto e pieno di risentimento, Byron, dalla Svizzera, si trasferì a Venezia, nel palazzo dei Mocenigo, sul canal grande. Nella città dei dogi George rimase il tempo necessario per sbrigare alcuni esercizi da camera: con Marianna Segati, la moglie del padrone di casa, e con la passionale Margherita Cogni, sposata ad un panettiere, e detta appunta la Fornarina; quindi passò nelle braccia della bella patrizia ravennate Teresa Gamba Guiccioli, anche lei in vacanza nella laguna, la quale, con le armi della seduzione, lo costrinse a seguirla a Ravenna fin sotto il tetto dell’anziano marito, il conte Alessandro.
Come era facile immaginare, quel menage a trois diede adito a molti pettegolezzi, al punto che i coniugi Guiccioli, di comune accordo, chiesero la separazione.
Nel frattempo, Byron aveva stretto amicizia con Pietro Gamba, il fratello di Teresa, ardente patriota, al quale non lesinò armi e denari per la causa dell’indipendenza. Purtroppo, falliti i moti carbonari del ’21, i beni dei Gamba furono confiscati dallo stato pontificio, e Byron, insieme alla famiglia di Teresa, fu obbligato a cercare asilo e protezione a Pisa, tra i membri della comunità inglese.
A cavallo sui lungarni
La colonia degli inglesi, alla quale si associò anche Byron nell’ottobre del ’21, era quasi tutta sparsa lungo le spallette dell’Arno. Teresa Gamba con il fratello Pietro e il padre, il conte Ruggero , dopo una breve sosta dai Finocchietti, aveva predo domicilio in casa Parra. Percy Shelley, la moglie Mary Godwin e il piccolo Florence erano alloggiati da circa un anno al terzo piano di palazzo Chiesa, sul lungarno galilei.
In casa Silva, abitavano invece George Mason (pseudonimo di un ricco esule di nome Tighe) e la sua compagna Lady Mountcashell. E sempre in riva al fiume,sul lungarno Mediceo, proprio di fronte a Shelley, si era insediato lord Byron a palazzo Toscanelli, attuale sede, dell’archivio di stato, un fabbricato del XVI secolo appartenuto alla famiglia Lanfranchi, come testimonia uno stemma sul fianco di via delle Belle Torri, che il poeta aveva preso in affitto per la cifra di duecento zecchini all’anno.
“Si tratta di un palazzo feudale, scriveva Byron a Murray, vasto abbastanza per ricettare una guarnigione, con carceri al di sotto, e celle nei muri. Dicono che la scala sia stata costruita dal Buonarotti”.  In effetti, l’edificio era stato davvero progettato da Michelangelo, per compiacere il suo grande amico Filippo Lanfranchi; mentre le carceri, a cui si riferiva il poeta, altro non erano che le stanze dello scantinato, dove di solito Byron andava la notte a dormire. Resta da aggiungere che lo stabile, in seguito , venne ceduto ad Andrea Vacca Berlinghieri, per poi diventare di proprietà della famiglia Toscanelli, la quale nel biennio 1837/38, provvide a rivestire di marmo la facciata, seguendo però l’antico disegno di Michelangelo.
Durante la sua permanenza a Pisa, Byron andò ad abitare nella stanza più vicina a Palazzo Roncioni, al primo piano, dove c’erano anche lo studio, la biblioteca, la sala da gioco con il biliardo e un guardaroba-museo con i costumi dell’epoca medicea. Gli altri vani dell’immenso edificio erano occupati dal personale di servizio, una folla di sguatteri e camerieri in livrea, impegnata soprattutto a governare lo zoo domestico, che il poeta aveva trasferito a Pisa dalla laguna.
Di questo serraglio facevano parte: lo spaniel Rebecca, un bulldog, due gatti, un’aquila, il whipper Prattle, un tasso, un falcone, il terrier Puck, un capretto, la cornacchia Sally, una gru egiziana e una coppia di scimmie. Senza dimenticare i cavalli della scuderia, affidati allo stalliere Vincenzo Papi, e per i quali Byron aveva una passione particolare e motivata, in quanto, solo stando in sella, riusciva ad annullare la sua infermità.
Si racconta che il poeta facesse delle lunghe cavalcate, specialmente sui lungarni, con sosta obbligata al caffè dell’Ussero (l’epicentro della cospirazione liberale): o nei viali delle Cascine e di San Giuliano, sino alle Piagge, nella fattoria La Podera, dove andava ad esercitarsi con la pistola.
In genere, rientrava dalla porta situata in corrispondenza della Discesa di Soarta, nei pressi del ponte della Fortezza, perché lì si attestava il corso delle mura. Poi, sempre in sella al cavallo, saliva le scale di casa Lanfranchi, fino a raggiungere la terrazza del primo piano di fronte al fiume.
L’incidente a Stefano Masi
Personaggio stravagante e chiacchierato Byron, in un modo o nell’altro, nella farsa e nella tragedia, era sempre al centro della scena. Ad aggravare comunque la già pessima reputazione del Lord inglese, contribuì un episodio alquanto controverso che avvenne la sera del 24 marzo 1822.
Quel pomeriggio, Byron rientrava a cavallo dalle Piagge con Shelley, Trelawny, Pietro Gamba, il capitano Hay e John Taafe. Davanti a loro a breve distanza, sulla carrozza guidata dal cocchiere Vincenzo Papi, c’erano Teresa Guiccioli e Mary Godwin. Arrivati in prossimità delle mura, furono superati dal sergente maggiore dei dragoni Stefano Masi, lanciato al galoppo verso la discesa di Soarta.
Byron che era stato urtato dal cavallo del sergente, incitò i compagni di inseguirlo. Lo raggiunsero alla Porta della città, sbarrandogli l’ingresso. Lo scontro fu inevitabile. Il Masi, colpito al volto dal frustino di Pietro gamba, reagì a colpi di sciabola. Il capitano Hay rimase ferito al naso. Shelley, che non aveva voluto cedere il passo al sergente, venne disarcionato dal cavallo e cadde nella polvere privo di conoscenza. Byron, accorso prontamente in difesa dell’amico, schiumava di rabbia, ma preferì comportarsi da gentiluomo. Consegnò al Masi, in atto di sfida, il suo biglietto da visita, quindi si avviò a cavallo verso la sua abitazione, negli appartamenti sul lungarno mediceo.
Non soddisfatto, il sergente rincorse Byron fino alle scale del Palazzo Lanfranchi, deciso a battersi subito con lui. A difesa del poeta, intervennero i domestici: Vincenzo Papi, Tita e Giambattista Falcieri. Nella colluttazione, il sergente venne trafitto al fianco dalla scoccata di un servo; lanciò un grido rauco e scivolò dal cavallo. La ferita non era grave, Stefano Masi guarì in pochi giorni.
Ma i “Cacciatori toscani” volevano vendicare il sergente, e prepararono un’azione punitiva con il Lord inglese. Avvertito del complotto, Byron si asserragliò in casa, ma l’incidente non ebbe ulteriore conseguenze, per l’immediato intervento delle autorità locali. Il presunto feritore, il servo Tita Falcieri fu arrestato. Shelley, Mary Godwin e i coniugi Williams emigrarono a Lerici.
Il “circolo pisano” si sciolse; e Byron, che nel frattempo aveva ricevuto da Bagnacavallo la notizia della morte della figlia Allegra, ritenne più opportuno trasferirsi con Teresa Guiccioli a Montenero, nei pressi di Livorno, a villa Dupuy, su di un poggio affacciato sul mare. Byron rientrò a Pisa da Montenero, verso la metà di giugno.
Nello stesso mese, e in diverse occasioni, si recò da Shelley, a Lerici, a prendere accordi per la consegna di due battelli, l’Ariel e il Bolivar, commissionati ai cantieri di Genova. L’imbarcazione di Byron, la Bolivar era una goletta con gli alberi a vele auriche e bompresso, fornita di cannoni. L’Ariel, invece era uno schooner di dimensioni ridotte, con la quale Shelley navigava spesso da Lerici a Pisa.
E fu proprio una di queste traversate che si rivelò fatale al poeta del Sussex. Dopo la cremazione del corpo di Shelley, le sue ceneri furono portate al cimitero inglese di Roma. Le parole, i versi e i pensieri, li raccolse Byron; quelli non potevano essere tumulati; e il poeta li portò con sé a Missolungi, un paludoso villaggio delle Grecia, dove morì di meningite, a trentasei anni, il 19 aprile 1824, combattendo per l’indipendenza di quel paese.

(*)E’ l’ora in cui dai rami scorre
l’intensa melodia dell’usignolo; è
l’ora in cui i giuramenti
d’amore paiono soavi in ogni
parola sussurrata; e l’alitare lieve
dei venti e le vicine acque inondano
di musica l’orecchio solitario
Le rugiade hanno asperso ogni fiore
con delicatezza, e nel cielo sono
confluite le stelle, e sull’onda
l’azzurro è più profondo e sulla foglia
s’oscura il colore, e nel cielo quell’indistinto
chiarore, così teneramente scuro;
e oscuramente puro, che segue
al declinare del giorno, mentre il crepuscolo
si dissolve sotto la luna.

Rivista ottocento n.5 dicembre 2002 – gennaio 2003

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15 risposte

  1. Vita un poco movimentata direi 😀

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  2. Penso non ci sia uomo più poliedrico e affascinante di Byron. Lui è il tutto. La dissolutezza, l’adulterio, l’amore, l’avventura, la passione ,e altro e altro ancora.
    Gran regalo Farfallina. Oggi abbiamo gustato una bellissima pellicola della realtà come se ne vedono poche. Bacionissimo

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  3. 36 anni vissuti senza badare a spese o cercar lavoro, per fortuna che NOI mortidifame oggi abbiamo radio tv, internet, la pinzione ed altri aggeggetti vari, così possiamo tirare avanti tranquilli fino ai 100 senza annoiarci

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  4. Non conoscevo nei dettagli la vita di quest’uomo: bella lettura.

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  5. Non conoscevo l’oceano di intemperanze di quest’uomo, non con così tanti dettagli. Bella lettura, vita oggi improponibile figlia di un altro tempo.

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  6. Ho ripreso ma non sono Lord Byron.

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  7. Ottimo post, come sempre. Sono sempre più orgoglioso di essere da tempo un tuo regolare lettore e commentatore.

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