Molte delle prime assunzioni di massa in queste aziende e soprattutto alla Fiat riguardarono i lavoratori meridionali.
I sensali arrivavano nel Sud e promettevano alla povera gente, per lo più contadini, in cambio di tutti i loro averi, un posto di lavoro e un avvenire sicuro, a seconda dei casi, in Francia, in Germania, o a Torino alla Fiat.
I “terroni”, partivano così dalle loro terre, su vagoni di terza classe del “treno dl sole” portando con sé vecchie valigie di cartapesta legate con lo spago e lasciando il cuore nel loro paese, ignari delle camerate dormitorio, dei letti a turno e delle topaie a prezzi di strozzinaggio dove sarebbero andati ad abitare.
Questo massiccio esodo verso il Nord investiva particolarmente l’area torinese; il boom industriale stava qui raggiungendo il suo apice in Italia la produzione di automobili era, infatti, rappresentata nella quasi totalità dalla Fiat (88%) ed era destinata a crescere negli anni successivi.
Tale espansione era potuta avvenire attraverso la compressione dei salari, cioè mediante un intenso sfruttamento della mano opera occupata.
In quegli anni i salari degli operai italiani erano tra i più bassi d’Europa. Non era cosa rara che molti di questi, finito il loro turno di 8-10 ore, fossero costretti a straordinari, turni notturni; oppure che, usciti dalle fabbriche, si rimettessero sugli autobus per andare a fare altre 3-4 ore di lavoro altrove.
Se la città era del tutto impreparata ad accogliere il primo esodo degli anni Cinquanta, durante la seconda ondata, alla fine degli anni Sessanta, era ormai scoppiata…
Filippo Falcone – Morte di un militante siciliano
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